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giovedì 8 agosto 2013

Logica deontica. FAQ3

E com'è il paradosso della vittima?

Anche in questo caso la contraddizione coinvolge direttamente, e senza mezzi termini, il principio [P], ossia il principio secondo il quale se qualcosa implica uno stato di cose vietato è di per sé vietato. Assumiamo allora il caso di una vittima di qualche offesa personale, mettiamo un furto. Abbiamo, di conseguenza, la seguente situazione malformata:

  1. se la vittima di un ladro lamenta il suo destino di essere stata derubata, allora ha avuto luogo una rapina;
  2. è vietato che abbiano luogo rapine;
  3. ergo, (a causa dell'applicazione del princio [P]) è vietato che la vittima di una rapina lamenti il proprio destino di esser rapinata.

Senza alcun dubbio in merito, la conclusione (3) è del tutto paradossale, è cioé una contraddizione con la prima premessa, ovvero una falsità senza possibilità alcuna di redenzione. Come a dire, oltre al danno, il furto, anche la beffa, vietato lamentarsi. Aggiungiamo che la conclusione in questione, sebbene falsa perché contraddittoria (con la premessa (1)), è legittimamente derivata dall'insieme delle premesse e in coordinazione appunto con il principio [P]. Cosa dobbiamo dedurne? Che il suddetto principio è falso oppure, cosa più probabile, che l'eccessiva rigidità della logica deontica sia l'unica responsabile di questo stato di cose? Ovvero, della generazione senza posa di efferati paradossi? A mio avviso, è un problema notazionale della stessa, del tutto incapace di evitare derivazioni incoerenti[1].

Si tratta di contraddizioni notevoli. Cosa accade invece nel caso del paradosso del ladro?

Il colpevole è sempre il principio [P]. Assumiamo l'ipotetico caso seguente:

  1. il ladro pentito della sua rapina implica che una rapina ha avuto luogo;
  2. è vietato che abbiano luogo rapine.

Similmente al caso del Buon Samaritano, si ottiene la seguente conclusione dell’inferenza deontica:

(3) è vietato che il ladro si penta della sua rapina

Ovviamente, la conclusione deontica (3) è paradossale perché si tratta di una formula incoerente dato che vengono affermate due enunciazioni contrarie tra loro, la (1) e la (3). Per di più, appare problematico che dalla verità delle premesse possa derivarsi, e per di più correttamente, una conclusione falsa!

E il paradosso di Platone?

A rigore si deve precisare subito come non sia propriamente “farina” del sacco della logica deontica, ma è pur sempre un'utile occasione per mettere a fuoco un problema formale grave. Nello stesso tempo va detto pure come esso possa venir accostato ai dilemmi morali, ossia a tutti quei casi per I quali la declinazione in concreto di principi generali fallisce e nel corso dei quali il singolo agente è del tutto impossibilitato a scegliere, razionalmente quanto sensatamente, tra una delle due alternative confliggenti[2]. Seguiamo adesso la presentazione che viene offerta da Lemmon[3]: si ponga caso che un amico lasci in custodia la sua pistola con la promessa da parte di rendergliela quando la chiederà indietro. Si conceda che dopo qualche tempo questo amico si presenti chiedendo indietro la sua pistola perché deve lavare il suo onore in quanto ha scoperto che la moglie gli è infedele. Pertanto, il risultato è di trovarsi nell’indesiderabile situazione di esser presi tra due obblighi confliggenti restituire e non restituire la pistola. Infatti, in base a quanto promesso si deve rendergliela ma siccome è prevedibile quale uso ne seguirà si è anche obbligati a non restituirla. Ringraziando Platone per aver formulato per primo questa situazione dilemmatica[4], vediamo di attenzionarla alla luce della logica deontica. Il paradosso è costruito sull’opposizione tra due obbligazioni prima facie di eguale importanza. Ma uno dei principi della logica deontica è che due obbligazioni opposte non possono mai darsi. E tuttavia questo caso concreto sembra costituire un contro-esempio al principio stesso. Allora chiediamoci: è falso l'esempio oppure il principio? Forse, e più ragionevolmente, nessuna delle due. Secondo Hansson[5], la logica deontica è semplicemente, oltre che gravemente, incapace di impedire derivazioni contraddittorie, come le presenti.

Si tratta di un'incapacità grave, anche perché rende possibili situazioni complesse di contraddizioni. É anche il caso del paradosso di Sartre?

Sì, senza dubbio. Anche se il presente è un caso più affine a quello di Platone che ai precedenti, vale a dire ci troviamo di fronte ad un tipico caso di 'dilemma morale' più che di un paradosso deontico in senso proprio. Ma lasciamo che sia Sartre[6] stesso ad illuminarci:

citerò il caso di un mio allievo, venuto a chiedermi consiglio nelle circostanze seguenti. Nella sua famiglia i rapporti tra il padre e la madre si erano guastati e d’altra parte il padre tendeva a collaborare con i tedeschi; il figlio maggiore era caduto durante l’offensiva germanica del ’40, mentre il figlio minore, i mio allievo, giovane dotato di sentimenti un po’ primitivi ma generosi, lo voleva vendicare. La madre viveva sola con l’unico figlio rimastole, affranta per il mezzo tradimento del marito e per la fine dell’altro figlio, e vedeva in lui la sola consolazione. Quel giovane in quel momento poteva scegliere tra partire per l’Inghilterra e arruolarsi nelle Forze Francesi di Liberazione – e quindi abbandonare la madre – o restare presso la madre e consolarne l’esistenza. Si rendeva ben conto che la donna viveva solo per lui e che il suo andarsene via – e forse la sua morte – l’avrebbero gettata nella disperazione

Il problema, in fin dei conti, è che il soggetto non può scegliere in quanto non ha argomenti conclusivi a favore dell’una come dell’altra scelta, benché entrambe si configurino quali doveri. Come si vede, non è esattamente un paradosso deontico ma se si volesse formalizzare con il linguaggio della logica deontica giungeremmo ad una chiara quanto inequivocabile situazione contraddittoria.

Allora potremmo aggiungere, in un'ottica più generale, come la logica deontica non sia in grado di gestire i dilemmi morali?

Esattamente, in un dilemma morale entrambe le alternative sono obbligatorie, e, quindi, richieste, oppure sono entrambe vietate, e, quindi, da evitare, eppure il soggetto non è in grado di scegliere adeguatamentre l'una piuttosto che la l'altra[7]. Il che, comunque, è da un punto di vista squisitamente logico strano oltre che inquietante: non era esclusa la possibilità di conflitti tra doveri?

Cosa accade, invece, nel caso del paradosso dell'Imperativo contrario al dovere?

Semplificando, si può tener conto dello strano meccanismo logico operante nel caso del paradosso del Buon Samaritano, e considerare adesso la situazione seguente:

  1. Nicola deruba Giorgio;
  2. Nicola deve non derubare Giorgio;
  3. Deve darsi il caso che se Nicola non derubi Giorgio, egli non sia punito;
  4. Se Nicola deruba Giorgio, allora egli deve essere punito.

Chishoml[8] chiama la conclusione (d) un imperativo contrario al dovere, vale a dire un obbligo contrario ad dovere precedentemente espresso in (b).
Siccome temo che l'esempio presente renda poco perspicuo lo specifico del paradosso in questione, seguiamo Poli[9]:

(a) Deve essere che Smith si astenga dal derubare Jones.
(b) Smith deruba Jones.
(c) Se Smith deruba Jones, egli deve essere punito per il furto.
  1. Deve essere che, se Smith si astiene dal derubare Jones, egli non venga punito per il furto.

L'iter del ragionamento appare quantomeno strano. Infatti, la conclusione paradossale non ha un carattere generale, ma discende esclusivamente dall'espressione di un nesso di causalità. IL fatto che la logica deontica stenti a darne un'adeguata epsressione è, a mio avviso, un'ulteriore conferma dei limiti della disciplina. Per Føllesdal e Hilpinen[10], infatti, l'Imperativo contrario al dovere ci dice solo cosa andrebbe fatto una volta che sia già stato violato un dovere. Si tratterebbe, dunque, di un dovere “riparatorio” dell'infrazione precedente. Ma la logica deontica fallisce nel tentativo di render conto anche di siffatte situazioni condizionali o di distinzione tra doveri prima facie e doveri attuali.

Ancora una volta, dunque, le difficoltà della disciplina appiono sconcertanti ed inquietanti. Ma rimane ancora un caso da considerare, vero?

Certamente, abbiamo da prendere in considerazione ancora il paradosso del dovere epistemico. Poniamo che un addetto alla sicurezza interna di un supermercato debba vigilare sui taccheggi. Se qualche cliente taccheggia, l'addetto deve sapere chi sta taccheggiando. Ora, però, se lo stesso sa che Maria sta taccheggiando, allora Maria sta taccheggiando. Per lo schematismo della logica deontica, otteniamo infine come sia obbligatorio che Maria taccheggi[11]. Ancora una volta, il formalismo della logica deontica consente di ottenere conclusioni paradossali, ovvero contraddizioni le quali, pur essendo delle asserzioni false, vanno accettate come vere.

Sconcertante, anche se, in certo qual modo, ugualmente stimolante. In conclusione, cosa può dirsi in generale sui paradossi della logica deontica?

La scoperta di limiti interni alla teoria se sulle prime sconvolge perché comunica l'impressione che la teoria stessa sia incosistente a causa delle varie contraddizioni in cui la stessa cade, tuttavia è sorgente di progressi futuri, anche nel tentativo di risolvere, se non tutte, almeno buona parte, delle difficoltà in cui si dibatte la disciplina. Per Poli[12], ad esempio, proprio lo studio dei paradossi ha consentito l'evoluzione della logica deontica. In questo senso, infatti, sembra di poter individuare due sole alternative allo stato di cose attuale: I) o ridurre il corpus degli assiomi, teoremi e linguaggio formale agli aspetti minimali, con applicazione delgi operatori a descrizioni di azione; II) oppure bisogna costruire una logica “più forte” in grando di render conto anche di situazioni nuove, come i nessi di condizionalità oppure le relazioni tra gerarchie diverse di obblighi oppure gestire più variabili contemporaneamente. Anche se, a volerla dire tutta, la storia della logica deontica è sempre stata una storia di risoluzione dei paradossi e riproposizione di nuovi paradossi[13]. Per Makinson[14], d'altra parte, ed anche, pur con le dovute differenze, per von Wright[15], tutti I problemi della materia derivano dalla tensione tra le nostre intuizioni normative, che intenzionano le azioni in un senso “morale”, e il formalismo logico, il quale è del tutto eterogeneo al meccanismo della valutazione morale. Per Rescher[16], infatti, quel che davvero fa, e potrebbe fare solamente, la logica deontica è dare espressione inadeguata al contenuto razionale delle nostre intuizioni morali. In ogni caso, quelli che seguono sono, a mio sommesso parere, I casi di difficoltà la cui trattazione genera paradossi in logica deontica:

(1) relazioni di causalità tra modali deontici;
(2) relazioni di condizionalità (primaria e secondaria) tra proposizioni deontiche;
(3) iterazione di modali deontici;
(4) iterazione modale (modalità miste);
(5) difettibilità, e relativa apertura a tempi, agenti e contenuti differenti, delle proposizioni deontiche;
  1. vincoli di coerenza basati sul principio di contraddizione.

Non c'è proprio speranza, allora?

Possiamo parlare solo del passato e, in certa stretta misura, anche del presente. Ma del futuro chi è abilitato a parlare? Magari un giorno potremo parlare di una logica deontica “perfetta”. Intanto, però, possiamo solo prendere atto delle difficoltà entro le quali deve barcamenarsi la materia.

Note
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[1] Cfr. C. H. Huisjes, Norms and Logic, Copiëerinrichting v. d. Berg, Kampen, 1981, p. 45.
[2] Cfr. H. N. Castañeda, Thinking and Doing, Reidel, Dordrecht, 1975, pp. 26 – 31.
[3] Cfr. E. J. Lemmon, Moral Dilemmas, “The Philosophical Review”, 2, 1962, p. 148: «Here is a simple example, borrowed from Plato. A friend leaves me with a gun, saying that when he calls. He arrives in a distraught condition, demands his gun, and announces that he is going to shoot his wife because she has been unfaithful. I ought to return the gun, since I promised to do so – a case of obligation. And yet I ought not to do, since to do so would be to be indirectly responsible for a murder, and my moral principles are such that I regard this a wrong. I am in an extremely straightforward moral dilemma, evidently resolved by not returning the gun».
[4] Cfr. Platone, La Repubblica, Laterza, Roma – Bari, 200610, p. 33 (I, 331 c): «Ti faccio un caso: se uno ha ricevuto armi da un amico sano di mente e se le sente richiedere da quell’amico impazzito, chiunque dovrebbe dire, a mio avviso, che non bisogna ridargliele e che non sarebbe giusto chi gliele ridesse».
[5] Cfr. S. O. Hansson, op.cit., p. 170: «in standard deontic logic (SDL), it is possible conclude form Op and Op that Oq for any argument q of the operator. Hence, in the presence of a moral dilemma, everything is obligatory».
[6] Cfr. J. P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano, 1996, pp. 43 – 4.
[7] Cfr. R. Ohlsson, Who Can Accept Moral Dilemmas?, “The Journal of Philosophy”, 8, 1993, p. 405: «In a moral dilemma, the agent acts wrongly whatever she does. Either all avaible alternatives are forbidden, or two or more actions that cannot conjointly be performed are morally required in the same situation, or one and the same action is both forbidden and absolutely obligatory».
[8] Cfr. R. M. Chisholm, Contrary – to – Duty Imperatives, “Analysis”, 24, 1963, pp. 33 – 36.
[9] Cfr. R. Poli, op. cit.(I), p. 338 e sgg.
[10] Cfr. F. Føllesdal – R. Hilpinen, Deontic Logic: An Introduction, in R. Hilpinen (ed.), Deontic Logic: Introductory and Systematic Readings, D. Reidel Publishing Company, Dordrecht – Holland, 1971, pp. 25 – 6: «A contrary-to-duty imperatives says what a person ought to do if he has violated his duties».
[11] Cfr. G. Sartor, Legal Reasoning. A Cognitive Approach to the Law, Springer, Dordrecht, 2005, p. 477: «the premise that John ought to know that Mary is stealing surprisingly entails, in standard deontic logic, that Mary ought to steal».
[12] Cfr. R. Poli, op. cit., p. 338: «la scoperta dei paradossi presenti nel sistema di von Wright fu però uno dei motivi, anche se non il solo e forse nemmeno il principale che stimolarono la ricerca di nuovi sistemi».
[13] Cfr. A. Artosi, op. cit., p. 139.
[14] Cfr. D. Makinson, On a Fundamental Problem of Deontic Logic, in P. McNamarra - H. Prakken, Norms, Logics and Information Systems. New Studies in Deontic Logic and Computer Science, IOS, Amsterdam, 1999, p. 29.
[15] Cfr. G. H. von Wright, On the Logic of Norms and Action, in R. Hilpinen (ed.), New Studies in Deontic Logic, Reidel, Dordrecht, 1981, p. 7: «There is a singular tension between the philosophy of norms and the formal work of deontic logicians».

[16] Cfr. N. Rescher, Topics in Philosophical Logic, Reidel, Dordrecht, 1969, p. 321.


(G. H. von Wright 1916 - 2003)
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